Crowdsourcing e Crowdfunding: due nuovi modi per fare business
Il crowdsourcing è un modo di fare business dove un’impresa affida la progettazione, la realizzazione o lo sviluppo di un progetto o di una idea ad un insieme non definito di persone non organizzate precedentemente. Tale processo viene poi favorito dagli strumenti che mette a disposizione la tecnologia: in particolare internet, poiché permette alle persone interessate di unirsi e di partecipare al progetto.
Se il crowdsourcing mette insieme le persone, il crowdfunding invece mette insieme dei fondi di finanziamento, donati da gruppi di persone che utilizzano il loro denaro per sostenere ed incentivare alcuni progetti.
Ritenete che questi due processi possano essere utili per l’economia ed avranno quindi un peso rilevante? Od invece li vedete come un qualcosa di rischioso e non producente? Li ritenete processi per fare business concreti od astratti?
A mio avviso, sia il crowdsourcing che il crowdfounding sono processi che al giorno d’oggi rappresentano un’opportunità unica, per chi ha un idea di business che vuole sviluppare, o per chi ha già un azienda e vuole lanciare un nuovo prodotto.
Il crowdfounding è importante poichè permette non solo di raccogliere fondi che altrimenti sarebbe difficile recuperare, ma anche per testare, se c’è un reale interesse da parte della gente riguardo al prodotto che si vuole lanciare in quanto sono direttamente gli interessati a finanziarlo.
Il crowdsourcing invece, a mio parere, è importante soprattutto per le imprese produttrici di software in quanto si può dare la possibilità agli appassionati di contribuire attivamente allo sviluppo dello stesso e generare quindi interesse e partecipazione.
Anche secondo me il crowdsourcing e il crowdfinding sono strumenti efficaci per un’impresa. Con il primo si riesce a intervenire su diversi aspetti; per primo, il richiedere l’ eventuale risoluzione di un problema a un pubblico consente di abbassare notevolmente i costi in quanto, secondo la mia conoscenza, i partecipanti concorrono volontariamente alla realizzazione di un progetto o ricevono eventualmente un compenso al termine di questo. L altro aspetto importante è che il crowdsourcing consente la fidelizzazione del cliente un quanto di sentirà partecipe della community a cui prende parte una volta avviato il progetto. Sentendosi parte di questo, si lega di più al Brand.
Per quanto riguarda il crowdfinding ho letto che vi sono diversi tipi, tra cui ,secondo me,quello piu utile è quello civico che ultimamente sta riscuotendo successo: esempi di enti pubblici o comunali che chiedono la partecipazione collettiva, ad esempio per restaurare un ponte, fanno in modo che la sfera privata e pubblica si mischi e ci sia un maggior senso di partecipazione.
Crowdsourcing e Crowdfunding sono i principali strumenti di business nell’era dell’Internet of things. Indubbiamente entrambi costituiscono un buon punto di partenza per lo sviluppo di nuovi business nell’attuale contesto di mercato. In particolare, il crowdsourcing è senza dubbio uno dei principali strumenti utilizzati dalle imprese (o meglio start-up) che intendono sviluppare nuovi business nel campo dell’Internet of things. Tuttavia, alla luce delle attuali caratteristiche del mercato, questi strumenti sono del tutto insufficienti per sviluppare nuove idee di business e quindi nuovi scenari competitivi. Per tali ragioni, sia il crowsourcing che il crowdfunding, pur avendo un peso rilevante nel mercato potrebbero risultare poco producenti e astratti.
Non sono d’accordo sul fatto che il crowdfunding e il crowdsourcing siano strumenti astratti o poco producenti. Sono molti infatti i casi di prodotti che hanno avuto la possibilità di essere sviluppati grazie ai fondi raccolti tramite il crowdfunding, a testimonianza di ciò c’è anche la nascita di un numero sempre maggiore di piattaforme dedicate al crowdfunding anche in Italia.
Ciao Marco, io rimango sempre della mia idea, parlare di crowdsourcing e crowdfunding è molto facile e soprattutto molto bello, ma purtroppo sviluppare business basati su questi 2 nuovi strumenti a volte può risultare molto difficile.
Secondo me in Italia si inizia a parlare di crowdfounding e crowsourcing solo da poco, in altri paesi molte realtà riescono a raggiungere ampio successo grazie a questa forma di business. Ad esempio nell’ambito musicale, a Londra oramai tutte le nuove band raccolgono fondi grazie al crowdfounding, in Italia solo da qualche mese invece su Virgin Radio passa una pubblicità che chiede la collaborazione del pubblico tramite appunto crowdfounding. Vi dirò se riuscirà ad avere successo.
Un caso di successo di band italiana è stato il finanziamento riuscito degli About Wayne, che grazie ai fondi raccolti hanno potuto cambiare strumenti e aprire il tour europeo di un’altra band.
Un esempio italiano in cui il crowdsourcing, ha avuto un ruolo molto importante è il caso della piattaforma hardware Arduino, una hardware open source che veniva distribuito agli appassionati di informatica insieme ai relativi progetti e a tutte le informazioni necessarie in modo che tutti gli interessati potessero contribuire attivamente allo sviluppo dello stesso.
http://www.repubblica.it/tecnologia/social-network/2015/12/07/news/tasse_universitarie_crowdfunding-128968352/?ref=fbpr
In questo articolo si parla di un ragazzo che ha sfruttato il crowdfunding per riuscire a pagarsi le tasse universitarie. Non c’entra con l’utilizzo di queste risorse all’interno di un’azienda ma è un esempio di utilizzo delle risorse che grazie ad internet abbiamo disponibili
Collegandomi all’articolo condiviso da Brenda, mi sono ricordato di aver letto qualche mese fa un’ articolo simile che parlava di come una studentessa ammessa ad un corso presso la Columbia University fosse riuscita a raccogliere grazie al crowdfunding, una somma addirittura vicina agli 80000 dollari, che le hanno permesso in questo modo dì trasferirsi negli Stati Uniti e seguire effettivamente il corso, cosa che quindi non sarebbe stata possibile senza questa forma di finanziamento.
Se ricordate anche la prof Cattaneo ci ha detto che le università anglosassoni aprono pagine Facebook per raccogliere fondi tramite crowdfounding.
Tutto verissimo! Tuttavia, gli esempi da voi effettuati non hanno per oggetto lo sviluppo di nuovi business in nuovi mercati (pagamento delle tasse universitarie e pagamento delle fees nelle università americane). I processi di crowdsourcing e crowdfounding sono molto utili come supporto allo sviluppo di nuove opportunità di business. Sarebbe veramente azzardato però pensare di sviluppare un nuovo business sfruttando esclusivamente queste 2 forme di finanziamento, al meno per quanto riguarda la realtà Italiana!
Laura priva a leggere questo articolo, è abbastanza recente. L’Italia si sta avvicinando a queste nuove forme di finanziamento, ovviamente 6 su 24 non è un risultato stupefacente ma è incoraggiante. Spero che anche possa raggiungere in breve le grandi cifre degli altri paesi. http://www.virginradio.it/news/trova-lavoro-con-radio-monte-carlo/182348/CROWDFUNDING–la-piattaforma-piu-nota.html
Ciao Gloria, ho letto l’articolo e rimango sempre della stessa opinione. Queste nuove forme di finanziamento sono senza dubbio ottime ma purtroppo l’Italia è ancora troppo lontana da queste concezioni. In media 350 mila euro per progetto non sono poi cosi tanti (dipenda dal tipo di progetto che si intende sviluppare) inoltre 6 su 24 è un po’ poco.
Fermo restando che crowdsourcing e crowfunding offrono grandi possibilità allo sviluppo di nuovi progetti (possibilità impensabili prima dell’affermazione della rete web), va detto che tali strumenti sono efficaci solo se sostenuti da possenti campagne di marketing.
In particolare, per quanto riguarda il crowdfunding, ritengo sia necessario stimolare tale tipo di “beneficenza” sul web: attraverso canali specifici, come siti che trattano di argomenti simili a quello oggetto di finanziamento; o attraverso canali più generici (Facebook, in primis), facendo leva sullo spirito di solidarietà di chi riceve il messaggio. Considero utopistico il poter pensare che tale raccolta di risorse possa funzionare senza marketing. Mi appare invece più realistico pensare, da buon economista, che gli individui siano sostanzialmente free-riders, e che quindi offrano il loro denaro solo se profondamente colpiti da una campagna pubblicitaria.
Un esempio: penso che la Apple, che ormai da anni ha assunto quasi un velo di sacralità per i suoi utenti, possa avviare campagne di crowdfunding: molti di loro sarebbero ben felici di offrire una parte del loro denaro per lo sviluppo di nuove iThings.
Ho potuto approfondire, almeno in parte, l’argomento nella mia tesi triennale sulla sharing economy. Dai dati raccolti dal report annuale della piattaforma collaboriamo.org (in collaborazione con l’università Cattolica del Sacro Cuore) lo sviluppo delle piattaforme di crowdfunding e crowdsourcing è in crescita nel nostro paese, anche se indietro rispetto alla media globale. Secondo me possono portare grosse opportunità di marketing per le imprese: nel caso del crowsourcing si rientra nelle tipiche tecniche di coworking e coprogettazione ricercate dal marketing relazionale, in modo da stimolare la partecipazione attiva dei clienti nell’impresa e al contempo di avere un prodotto più adatto alle esigenze del cliente a un costo notevolmente inferiore rispetto alle ricerche di mercato. Per quanto riguarda il crowdfunding si lega ai principi più relazionali della sharing economy (scambio, community, collaborazione) e permette di fare leva sull’etica e sull’impegno sociale dei cittadini nei confronti di prodotti e progetti favorevoli sia per loro sia per la comunità.
Il potenziale è quindi ampio ma le imprese che li praticano hanno bisogno di una massiccia campagna di marketing per pubblicizzare questi nuovi modi di fare business.
Perfettamente d’accordo. Anche tu sei dell’idea che la base di questi due strumenti sia il puro marketing:
– marketing interno per il crowdsourcing;
– esterno per il crowdfunding.
Si sono pienamente d’accordo, anche se il crowdsourcing potrebbe necessitare anche di marketing esterno coinvolgendo non solo i dipendenti ma anche i clienti attuali e potenziali